Pretty privilege, come si manifesta il privilegio di essere 'carine'

Fin dalla più tenera età, ci insegnano che, per essere realmente apprezzati, dobbiamo anche essere carini e di “bell’aspetto”. In questo modo, però, non si fa altro che corroborare uno dei tipi di discriminazione più subdoli che vi siano: il “pretty privilege”.

Bravi, educati e… belli. Fin da piccoli, genitori e società ci hanno sempre detto che per “stare al mondo” è necessario avere un bell’aspetto, curarsi e “soffrire pur di apparire belli”. Un bias che ha caratterizzato tutta la nostra vita, dai commenti da parte degli sconosciuti («Ma che bella/bel bambina/o! Chissà come è tranquilla/o.») ai colloqui di lavoro (cui è un imperativo categorico presentarsi sempre al meglio delle nostre possibilità estetiche) e che permea costantemente la nostra percezione di noi stessi e delle persone che ci circondano.

La convinzione è, infatti, la seguente: se sono bella/o, otterrò più successo, nella vita professionale e privata. Essere attraenti e godibili alla vista, quindi, diventa, in questo modo, una conditio sine qua non per il nostro benessere psicofisico, influenzando il nostro approccio a ogni ambito dell’esistenza.

Questo tipo di discriminazione – che a molti può apparire alla stregua di un “privilegio”, ma è, in realtà, un’arma a doppio taglio – ha un nome preciso: “pretty privilege”. Vediamo di che cosa si tratta.

Che cos’è il pretty privilege?

Il “pretty privilege”, ossia, letteralmente, il “privilegio di essere carini”, affonda le proprie radici nelle imposizioni estetiche dettate dalla società – e, di conseguenza, sempre mutevoli – e si basa sulla correlazione tra aspetto fisico e successo sociale.

Conseguenza di tale privilegio è, infatti, una generale predisposizione alla maggiore “accoglienza” delle persone che ne godono, imperniata sull’idea che la bellezza manifesta – per quanto soggettiva e diversa per ciascuno di noi, al di là dei canoni – corrisponda a un più elevato livello di talento, salute, intelligenza e socialità.

Come evidenzia lo studioso di “Pulchronomics” – ovvero la branca dell’economia che analizza l’ingerenza dell’aspetto fisico sulle dinamiche di mercato – Jadezweni:

Se qualcuno è piacevole agli occhi, il piacere che traiamo dal guardarlo colora la nostra percezione degli altri suoi attributi.

Tradotto: se si è belli, vi è più probabilità che anche le altre componenti del nostro carattere vengano prese in considerazione e apprezzate.

Pretty privilege: come e quando si manifesta?

Il “pretty privilege” può attecchire potenzialmente in qualsiasi ambito della nostra quotidianità, dall’ufficio a una cena con gli amici, da una passeggiata al parco al supermercato. E, soprattutto, mostra i suoi primi vagiti fin dall’infanzia.

Già dalla scuola materna, appunto, non è raro notare come gli insegnanti si rivolgano ai bambini più carini con un trattamento di “cortesia”, omaggiandoli spesso di voti migliori, più fiducia e maggiore gentilezza.

Un favoreggiamento che continua nel corso degli anni e degli studi, come si osserva, per esempio, in ambito liceale, dove i ragazzi e le ragazze più attraenti godono della cosiddetta “popolarità” e attirano un numero più elevato di opportunità sociali, convalide sessuali e attenzione.

Giungendo fino al mondo del lavoro, nel quale persone considerate “belle” presentano spesso maggiori probabilità di ottenere un impiego, di conseguire colloqui di successo e di trarre beneficio di un diffuso apprezzamento a livello professionale.

Ciò che soggiace a tale meccanismo mentale è da ricollegare, secondo molti, alle dinamiche dell’evoluzionismo. Ai fini della sopravvivenza della specie, infatti, i nostri avi sarebbero stati naturalmente portati a scegliere partner con un aspetto più bello e quindi, in base alla logica del “più adatto”, maggiormente sani e fertili.

La realtà, però, è molto più complessa di così, e a delineare il bias correlato alla bellezza contribuisce in maggior misura un insieme di fattori designati a costruire il cosiddetto “standard” di riferimento, ossia: tratti europei, volto simmetrico e giovane, carnagione bianca – ma con tratti “esotici” – e corpo alto e slanciato. Uno standard che riguarda tutti in maniera trasversale ma che, come per ogni discriminazione, colpisce maggiormente le donne, condannate, fin dalla più tenera età, a compiacere lo sguardo altrui, soprattutto il “male gaze” maschile.

Il risultato, come commenta il communication coach Jon Briggs sul sito My Imperfect Life, è che

è [ormai] ampiamente accettato che più assomigli alle belle persone che vediamo nelle pubblicità, in televisione o nelle riviste, più è probabile che sarai ricompensato finanziariamente o insignito di un vantaggio nella scala della società.

Perché il pretty privilege è un problema?

Il “pretty privilege” si è insinuato in modo così subdolo e radicato nella nostra società e nelle nostre comunità personali più o meno ampie da risultare, spesso, un non-problema. In realtà, però, esso lo è eccome, e per un numero molto ampio di persone.

In quanto discriminazione basata sull’aspetto fisico e centrata su standard scelti arbitrariamente e non rispondenti alla varietà multiforme di corpi, volti e bellezze, il “pretty privilege” si lega, appunto, a doppio filo a un altro tipo di pregiudizio, il lookism, secondo il quale “ciò che è bello è buono” e al rapporto direttamente proporzionale tra l’attrattiva fisica e il possesso di buone qualità caratteriali e sociali.

Ciò che ne consegue è un’eliminazione o un allontanamento – spesso attuati inconsapevolmente – delle persone che non corrispondono agli standard dettati dal privilegio, con conseguenze disastrose sulla salute mentale, le relazioni interpersonali e l’autostima.

Come si evince dalla testimonianza di una ragazza rilasciata sul forum Reddit:

[…] Il “pretty privilege” esiste eccome, e per chi è fortunato aiuta parecchio in un sacco di ambiti (ragazze che se ne andavano scollate all’interrogazione e prendevano uno o due voti in più di quello che avrebbero meritato, regali, favori, ma soprattutto il minimo di decenza e rispetto a cui tutti dovremmo aver diritto, e che viene spesso dimenticato per chi non è bell@). Me ne sono fatta una ragione già alle medie, ma non nego che mi rattristi molto sapere che a causa del mio aspetto in molte situazioni dovrò faticare di più per essere accettata/apprezzata.

Pretty privilege: come superare il bias

Così come è stato appreso, tuttavia, il “pretty privilege” è un atteggiamento che può essere decostruito e abbandonato nel corso del tempo – pur, forse, con un processo graduale.

Questo tipo di discriminazione, infatti, non comporta alcun effettivo vantaggio, sia per le persone che non ne godono, sia per quelle che ne sono colpite. Per queste ultime, in particolare, l’essere di bell’aspetto e carine è un’arma a doppio taglio: la bellezza può essere un “contraccolpo”, perché in base alla correlazione già accennata tra attrattiva e buone qualità, a esse sono affidate aspettative molto più alte. E, se queste vengono disattese, la punizione che ne deriva risulterà essere spesso più severa e decisa.

Come in ogni ambito in cui è presente una discriminazione basata su fattori esteriori – siano essi etnia, genere, età o, come in questo caso, aspetto fisico –, dunque, è necessario allenarsi a far desistere la tendenza a “ingabbiare” gli individui in etichette preconfezionate, considerandoli per quello che sono in realtà: persone, dotate di caratteristiche uniche e tra loro molto diverse, e degne di essere rispettate e considerate per il loro comportamento e la loro umanità. E non, di certo, per quanta “bellezza” possano manifestare.

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