Da ormai diverso tempo è piuttosto comune, soprattutto sui social, sentir parlare di body positivity: se ne occupano i media, i pubblicitari, le campagne di sensibilizzazione, gli hashtag diffusi sulle principali piattaforme online.

E va benissimo, perché il concetto di accettazione del proprio corpo al di là della sua corrispondenza rispetto a determinati standard estetici imposti a livello socioculturale ha permesso di porre l’accento su una questione tanto importante quanto mai davvero risolta, che ha a che fare con l’autostima, maschile e femminile, e con la consapevolezza che il proprio valore non dipenda né dal peso segnato dalla bilancia, né dall’adesione a un certo tipo di immagine estetica, che pertanto non deve essere vista come la massima aspirazione cui ambire.

Peccato che, con il tempo e qualche distorta interpretazione, anche la body positivity abbia finito per incarnare un’etichetta, in cui includere una certa tipologia di persone, escludendo così di fatto altre. Un risvolto della medaglia davvero inaspettato, per un movimento nato con “inclusività” come parola d’ordine.

Ha alienato le stesse persone che l’hanno creata – afferma Stephanie Yeboah, blogger del The Guardian – Adesso, per essere body positive con il tuo corpo, devi essere accettabilmente grasso, taglia 48 o meno, o bianco, o molto carino.

Per questo, da qualche anno ha iniziato a circolare un altro concetto, di cui si è fatta portavoce l’attrice e attivista Jameela Jamil, ideatrice della pagina Instagram I weigh: la body neutrality.

Cos’è la body neutrality?

Il concetto circola negli States già nel 2015, quando la fitness coach e specialista in disturbi alimentari Anne Poirier ha iniziato a tenere seminari sulla neutralità corporea, invitando i partecipanti a pensare alle sembianze del proprio corpo nei diversi momenti della vita.

L’idea alla base della body neutrality è che si debba amare il proprio corpo, ma senza nessuna pressione in merito né con l’obbligo “morale” di doverlo fare ogni giorno. Ma c’è altro.

La body positivity tende a non includere le persone con disabilità e altri corpi ‘discriminati’ – spiega la scrittrice Rebekah Taussig al Guardian – La body neutrality, credo, ha il potere di essere davvero utile in particolare alle persone con disabilità, in particolare a quelle con dolore cronico o alle persone con patologie degenerative. Quelle persone sono piuttosto frustrate dalla richiesta di amare il proprio corpo, quando si sentono tradite da esso. Essere neutrali rispetto a quest’ultimo potrebbe invece essere una soluzione.

Jameela Jamil già dal 2018 raccoglie sulla pagina Instagram di I weigh i commenti e le opinioni delle donne rispetto ai propri corpi, anche nei suoi aspetti più superficiali, e ha ribadito le ragioni del suo attivismo anche in una recente intervista per il The Daily Show:

Non è necessario pensare a com’è fatto il proprio corpo. Ci sono aspetti e battaglie anche più importanti da portare avanti. Non è più necessario dire ‘Io amo la mia taglia’ o ‘Io amo la mia cellulite’, ma piuttosto ‘Io rispetto quello che pensi, ma chi se ne importa di com’è il mio aspetto?’

Ad aderire con entusiasmo alla campagna di body neutrality dell’attrice di A Good Place anche Taylor Swift, che in una recente intervista per il The Guardian ha raccontato di come si senta umiliata ogni volta che qualcuno la giudica in quanto donna, analizzando quindi il suo essere femminile prima ancora e più del suo talento o delle sue capacità.

Abbiamo donne fantastiche come Jameela Jamil che dice ‘Non sto cercando di diffondere body positivity, un atteggiamento positivo nei confronti del corpo. Sto cercando di diffondere Body Neutrality, un atteggiamento neutrale, affinché io possa sedermi qui e non pensare affatto a com’è il mio corpo’.

Il messaggio, quindi, è chiaro: non si tratta più di amare a tutti i costi il proprio corpo. Si tratta di non sentirsi in obbligo di considerarlo per forza.

I principi della body neutrality

In sostanza la body neutrality invita a non focalizzarsi per forza sulla propria fisicità, neppure amandola a tutti i costi; non è un modo di pensare positivo o negativo, ma si pone esattamente a metà strada. Body Neutrality è un modo di pensare che non è né positivo né negativo, non è né amorevole né dispregiativo, ma si pone a metà strada.

Il principio fondamentale è che si deve riconoscere di non essere sempre positivi rispetto al proprio corpo, di non piacersi sempre, e che comunque va bene così; il che non significa smettere di curare il proprio aspetto, se lo si desidera, ma concentrarsi su altri aspetti della nostra personalità e della nostra vita, su sogni, passioni, ambizioni, ma anche su cose superficiali, senza punirci od ossessionarci perché non riusciamo a correggere quella piccola imperfezione che ci renderebbe più serene con noi stesse.

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Body neutrality e body positivity

La body positivity, dopo anni in cui è stata osannata e accolta con il plauso del femminismo contemporaneo (ma non solo, visto che è indifferentemente riferibile anche agli uomini) si è attirata ultimamente alcune critiche, che potrebbero essere ben sintetizzate nel pezzo della giornalista Rachel Hawley su The Outline, intitolato I Don’t Feel Positive About My Body -And I Shouldn’t Have To, ovvero “non mi sento positiva verso il mio corpo, e non dovrei”, in cui è partita dalla vera domanda cardine: perché le persone non stanno bene con se stesse?

L’idea alla base è sostanzialmente che la body positivity insegni ad amare il proprio corpo solo dopo averlo sezionato, scandagliato alla ricerca dei difetti che poi dovremmo accettare. Ma perché doverli notare per forza, quando potremmo vivere benissimo senza per forza indagare ogni centimetro della nostra pelle alla ricerca di imperfezioni da esibire?

Voglio vivere in un mondo in cui alle persone, di tutte le taglie, siano garantite risorse e rispetto in egual misura, e dove nessuno senta la pressione di perdere peso o modificarsi in qualunque modo. Ma personalmente? Voglio essere più magra. E se dovessi allenarmi tutti i giorni a pensare nel modo giusto e a sentire le sensazioni giuste mentre mi guardo allo specchio, forse riuscirei a spostare la montagna del mio ingombrante desiderio di accettazione e persino celebrare il mio peso attuale. Ma non voglio farlo. E, più importante, non dovrei proprio.

scrive Hawley.

Dello stesso avviso anche un’altra scrittrice, Andrea Long Chu, che ha dichiarato:

Non sopporto la body positivity, non la reggo proprio. È un anatema per me. È moralizzatrice. La ragione è che non la sopporto perché mi sento coinvolta, perché quello che dice è che il mio disprezzo per me stessa, e intendo proprio il mio personale, è il risultato della mancanza di presa di coscienza.

No, non è vero, il mio disprezzo per me è prezioso, è una forma di conoscenza di me stessa.

Nel concetto di body neutrality questa parte moralizzatrice viene meno, poiché la positiva non è imposta: se il mio corpo non mi piace, semplicemente posso cambiarlo, altrimenti posso fregarmene e non dover sbandierare per forza le mie imperfezioni. Lo spiega perfettamente anche Eva Wiseman nella sua colonna Body positivity has had its day. Let’s find peace with ourselves, pubblicata sul Guardian:

Se la strada per l’uguaglianza è ancora parecchio tortuosa, cambiare un po’ le idee che governano il rapporto col corpo potrà facilitarne il percorso: non dobbiamo per forza amare il nostro corpo così com’è. Possiamo individuare le zone di tregua e scovare la forza di volontà per modificare quello che ci mette a disagio. L’invito è miracolosamente un sollievo: mettiamoci le cosce in pace.

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