Perché le chiome lunghe delle donne sono state considerate storicamente pericolose

Il nascondimento delle chiome lunghe delle donne è un fenomeno patriarcale antico: le ragioni e il modo in cui il fenomeno si è concretizzato nei secoli in diverse religioni.

C’è un’artista, a Istanbul, si chiama Yasemin Güzel. Tra le sue varie opere c’è un progetto che raccoglie le chiome lunghe delle donne, 5000 sopravvissute alla violenza in Turchia e non solo per la precisione. Questi capelli sono modellati in vario modo, ma probabilmente l’opera più rappresentativa è il mega-rosario di capelli, che richiama il monile che una porzione di uomini turchi si rigira sempre tra le mani, giustificando la violenza con la fede (cosa che l’Islam non sostiene più di altre fedi, in altre parole i fattori del fenomeno sono culturali e patriarcali ma vengono spacciati per religiosi). La storia di Yasemin è paradigmatica di come le chiome lunghe delle donne siano rappresentative della violenza subita dalle donne nei millenni, nella storia, in tutto il mondo.

Le chiome lunghe delle donne, la bellezza e la vanità

Nelle foto dei matrimoni delle nostre madri o delle nostre nonne, non è raro scorgere le invitate in chiesa con addosso un velo o una mantilla portata dalla Spagna. Fino agli anni ’50 del Novecento era una sorta di obbligo: in chiesa le donne ci andavano a capo coperto, ma è rimasta un’abitudine successivamente alla caduta dell’obbligo. Ve lo raccontiamo per darvi un’immagine di come in vari tempi e in vari luoghi religione e capo coperto (ma solo per le donne) siano stati o siano un connubio quasi dato per scontato.

È come se per molto tempo, secoli e millenni, si sia voluta e si voglia occultare parte della bellezza femminile, come se la vanità – per ad esempio per la religione cristiana è considerato un vizio capitale – appartenesse a un solo genere. Così quella parte scoperta, perché il resto del corpo viene coperto dai vestiti, veniva nascosta agli occhi del mondo, quasi a rimarcare una proprietà maschile sull’immagine femminile. E la storia racconta proprio di questo.

I capelli femminili nella storia (anche quella delle religioni)

Come riporta El Pais, l’impatto storico delle chiome lunghe delle donne affonda le radici nell’antichità. Per esempio, nel libro del profeta Isaia, all’interno dell’Antico Testamento, si parla dell’orgoglio di andare in giro a testa alta (e scoperta) da parte delle donne di Sion, che saranno punite da Dio con “calvizie invece di eleganti acconciature”. Non cambia molto neppure con il Nuovo Testamento, tanto che nelle lettere di san Paolo ai Corinzi, i capelli debbano essere coperti, perché l’uomo è la gloria di Dio, mentre la donna è la gloria dell’uomo. Senza dimenticare che gli Assiri prevedevano la copertura del capo per le donne per legge.

Nella religione cattolica, il velo è stato prescritto per le suore fino agli anni ’60, ovvero fino al Concilio Vaticano II, ma l’obbligo è caduto definitivamente solo con il Codice di Diritto Canonico del 1983. Alcune spose indossano ancora oggi un velo, che viene tirato indietro al momento del sì – un retaggio della tradizione ebraica secondo cui il volto della sposa poteva essere visto dal marito soltanto alla fine della cerimonia. Usanze, queste, che sono perdurate nei secoli, e non sono legate solo alla tradizione ebraica o cristiana, ma ci sono state per tutto l’Ancien Regime anche nei Paesi in cui ci sono stati influssi islamici, come per esempio la Spagna.

La storia di Rosalia

A ottobre 2025, il Portogallo ha vietato per legge i veli integrali, come il niqab e il burka. Negli stessi giorni, la cantante spagnola Rosalia, che ha fatto sempre della sensualità la sua cifra stilistica, ha rilasciato il nuovo disco in cui appare con il capo velato come una suora, scuotendo così l’opinione pubblica.

Si tratta sostanzialmente di una provocazione – un po’ come Madonna quando cantava Like a Prayer, quindi neppure nuova – ma è servita a riaprire il dibattito proprio nei giorni in cui appunto il Portogallo ha dato seguito a una tendenza iniziata nel 2012 in Belgio, e poi diffusa in diversi Paesi europei. Oltre alla provocazione c’è la critica, in una società in cui le donne sono sempre meno invisibili e rischiano di essere vittime o sopravvissute alla violenza dell’uomo. E la critica si può sintetizzare in un interrogativo: per quanto tempo ancora le donne, nel mondo, saranno soggette alle decisioni “maschili”, o meglio maschiliste?

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