Il bisogno di curare l'iperpigmentazione ha a che fare con razzismo e grassofobia
L'iperpigmentazione è comune e spesso innocua: eppure, se se ne parla è spesso per capire come "sistemarla". Questo non è casuale.
L'iperpigmentazione è comune e spesso innocua: eppure, se se ne parla è spesso per capire come "sistemarla". Questo non è casuale.
La prima volta che è stata notata la mia iperpigmentazione è stato nel periodo in cui stavo entrando nella pubertà. “Tallate el cuello”, insisteva mia madre, credendo che la pelle più scura del mio collo potesse semplicemente essere strofinata via. E per un po’ le ho creduto. Ho attivamente evitato di strofinare qualsiasi parte del mio corpo, quindi non ho nemmeno dovuto guardarle. Il mio corpo mi disgustava. Gran parte della vergogna per il mio corpo e l’iperpigmentazione della pelle si sono intensificate solo quando il mio corpo ha iniziato a ingrandirsi. Ora, sulla trentina, ho fatto molta strada da allora, ma mi addolora ricordare quanto presto ho iniziato ad auto-sabotarmi e disincarnarmi.
A parlare è Gloria Lucas, che in un lungo articolo sulla rubrica Learning Curves di allure ha riflettuto sullo stretto legame che unisce volonta di curare iperpigmentazione, razzismo e grassofobia.
L’iperpigmentazione cutanea è una condizione della pelle molto comune e solitamente innocua a causa della quale alcune aree della pelle hanno una maggiore colorazione. È un fenomeno che può verificarsi a causa di ormoni, invecchiamento, esposizione al sole, ereditarietà, acne, determinate condizioni di salute o determinate fasi della vita riproduttiva, come il cloasma gravidico – detto anche melasma o maschera gravidica – che si presenta nell’area tra il naso e la bocca delle donne incinta.
Secondo gli studi riportati da Lucas, solo il melasma colpisce circa 5 milioni di persone negli Stati Uniti con un tasso di prevalenza fino al 40% in alcune popolazioni.
Più che gli studi sull’incidenza di questa caratteristica, a essere diffusi su internet sono però i consigli di medici, esperti o beauty advisor su come “sistemare” questa mancata informità della pelle: non solo veri e propri trattamenti estetici, a essere diffusi sono soprattutto i prodotti sbiancanti.
Si prevede che l’industria dello sbiancamento della pelle raddoppierà e raggiungerà gli 11,8 miliardi di dollari entro il 2026, secondo Global Industry Analysts Inc.: in questo settore rientrano i trattamenti e i prodotti sbiancanti, che hanno come target corporeo non solo le parti più visibili di noi ma anche ano e vagina.
Ma perché si domanda Lucas – se l’iperpigmentazione è un evento così comune che raramente indica un problema di salute, perché queste chiazze di pelle più scure sono ancora così ampiamente considerate qualcosa che dobbiamo correggere?
«Non sto insinuando che l’iperpigmentazione non sia mai collegata a una condizione medica», spiega, aggiungendo come la sua iperpigmentazione cutanea sia peggiorata durante la lotta contro il disturbo alimentare che l’ha colpita. Piuttosto, il suo obbiettivo è riflettere su come la lotta all’iperpigmentazione non sia che un altro volto di quel frame bello/brutto, buono/cattivo, bianco/nero, magro/grasso costruito socialmente e influenzati dalla storia e dal potere.
La nerezza fu stabilita come l’opposto di ciò che costituiva salute e bellezza, mentre la femminilità bianca divenne l’ideale universale. È la stessa struttura sociale che imponeva la grassezza (cattiva) come nera e la magrezza (buona) come bianca. La scurezza e tutte le sue associazioni negative sono state fabbricate e impresse sulle persone durante l’istituzione dell’Occidente come mezzo per sostenere la schiavitù, continuare lo sfruttamento sessuale di neri, indigeni e donne di colore e procedere con il furto di terra e risorse attraverso la colonizzazione.
La pelle più chiara venne associata alla civiltà, quella più scura all’inferiorità e ad associazioni negative e basate sulla vergogna: malattia, bruttezza, povertà, inferiorità, servitù e impurità.
L’iperpigmentazione è una di quelle condizioni della pelle associate alla scurezza, e quindi viene automaticamente vista come una patologia, anche se le persone con la pelle più chiara sperimentano anche condizioni che la causano, come la rosacea. Questo non vuol dire che le persone con condizioni della pelle non scure non siano mai soggette a bullismo o discriminazione, ma sono molto meno comunemente associate a una cattiva igiene.
Per le persone grasse, quella dell’iperpigmentazione è una doppia discriminazione: sebbene possa presentarsi ovunque, infatti, si verifica più comunemente nelle pieghe della pelle attorno a aree come l’interno coscia, i glutei, la vulva, il seno. La terapista sessuale di Filadelfia Sonalee Rashatwar ha raccontato a Lucas che, essendo una persona di colore che è cresciuta grassa, le persone intorno a lui usavano la sua iperpigmentazione
come diagnosi. che significava che potevo avere un disturbo metabolico o che ero malato o avevo qualche tipo di anomalia. Era davvero in linea con il modo in cui la grassofobia autorizza le persone a fare una diagnosi sulla salute di qualcuno semplicemente guardandolo. La salute è davvero unita alla grassezza e si presume che le persone grasse siano semplicemente malate.
Questo non accade solo tra persone comuni, ma anche tra i professionisti sanitari: come ricordano anche le autrici del libro Belle di Faccia, le persone grasse hanno meno probabilità di ricevere un’assistenza sanitaria priva di pregiudizi e basata sull’evidenza.
Quindi, come iniziamo a normalizzare la diversità della pelle? Cambiare il modo in cui parliamo di iperpigmentazione sarebbe un buon primo passo, spiega a Lucas Rashatwar: «Perché deve essere chiamato ‘iperpigmentazione’? Perché non si può chiamare semplicemente ‘pigmentazione?’»
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
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