Il furto di capelli: l'umiliazione e la violenza dietro il commercio di extension
Violenza, umiliazione, necessità: il furto di capelli colpisce le donne in molti modi, ecco il fenomeno su scala mondiale.
Violenza, umiliazione, necessità: il furto di capelli colpisce le donne in molti modi, ecco il fenomeno su scala mondiale.
Il furto di capelli è un fenomeno molto diffuso del quale spesso non abbiamo contezza. Per cominciare a capire la questione, bisogna fare due passi indietro nella nostra memoria – in qualcosa che probabilmente tutte noi conosciamo. Nel romanzo Piccole Donne, a un certo punto della storia, Jo si taglia i capelli e li vende per ottenere del denaro che possa permettere alla madre di recarsi a New York, dove il padre è ricoverato dopo essere stato gravemente ferito in guerra. Poi c’è la questione dell’Olocausto: chi abbia visitato il Museo di Auschwitz o semplicemente visto delle immagini sui libri o in Rete, sa che all’ingresso nei campi di concentramento venivano tagliati i capelli dei deportati e che poi questi capelli confluivano in un business – quello dei cuscini soprattutto.
È un business – anche se non serve più per l’imbottitura dei cuscini – quello dei capelli. Si stima che già alla metà dell’Ottocento, le ciocche umane valessero il doppio del loro peso in oro. Oggi il mercato è molto diverso e prevede soprattutto l’utilizzo in parrucche – che arrivano a costare anche migliaia di euro – nelle estension oppure anche come feticci sessuali. E dato che rappresentano una merce tanto preziosa, non è raro che ci siano dei criminali che si dedicano al furto di capelli. Ci sono delle differenze per loro: i capelli che vengono rubati sono non tinti né trattati chimicamente in altri modi – o non potrebbero essere impiegati nelle parrucche – e hanno determinate caratteristiche in base al mercato cui si rivolgono (per esempio il mercato asiatico è alla ricerca di capelli biondi e ricci, perché le donne asiatiche li hanno per lo più neri e lisci).
Una delle storie più significative per addentrarci in questa materia proviene dall’Italia, ed è stata raccontata da Business Insider. I costi delle parrucche realizzate con capelli veri sono proibitive, come abbiamo spiegato, soprattutto per coloro che si trovano in una situazione in cui la parrucca non è un vezzo estetico, ma una necessità. Parliamo naturalmente dei malati oncologici – che sono oggetto di donazioni da parte di tanti, affinché possano ricevere delle parrucche. Tuttavia, quasi due anni fa, si è registrato uno caso che ha quanto meno fatto interrogare l’opinione pubblica: è emerso che le persone donavano i capelli per far realizzare parrucche per i malati oncologici, ma questi ricevevano parrucche sintetiche, perché i capelli veri venivano utilizzati per produrre quelle per i clienti paganti. Una sorta di baratto insomma, almeno stando alle dichiarazioni dei diretti interessati.
Sarebbe opportuno – disse all’epoca Francesco Schittulli, Presidente della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori – costituire una sorta di consorzio unico per creare una rete in modo che tutti possano contribuire alla causa in maniera silenziosa e forte. Per fare beneficenza non c’è bisogno di gesti plateali. Non metto in dubbio le buone intenzioni di queste persone. Solo mi chiedo: perché ognuno di questi soggetti non contribuisce a fare la sua parte e creare una federazione per aiutare i pazienti oncologici?
C’è da dire che il furto di capelli in senso stretto è qualcosa di molto differente. Wikipedia parla di un fenomeno diffuso che riguarda le donne, che vengono depredate dei loro capelli per strada o sui mezzi pubblici: ciocca dopo ciocca, i ladri rivendono i capelli soprattutto per le estension in questo caso. Ma nonostante la violenza rappresentata dal gesto, l’umiliazione – a volte i capelli provengono da donne che sono in carcere, analogamente a come ieri venivano rasate le teste delle persone in manicomio o nei campi di concentramento – c’è anche un’altra questione che non può essere tralasciata. Il business dei capelli va a colpire dove c’è maggiore povertà e quindi maggiore bisogno.
Il Guardian racconta per esempio delle donne del tempio di Tirupati, in India, che ospita un idolo di 8 piedi ricoperto da strisce di diamanti. Sono le donazioni delle donne che l’hanno reso un tempio ricchissimo, le donazioni dei loro capelli. I capelli giungono appunto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dopo essere stipati in magazzini enormi. Nell’intero subcontinente indiano le donne sono prese di mira per le loro trecce e le loro chiome e i galoppini di alcuni esportatori di medie dimensioni stanno offrendo ai mariti 10 dollari per i capelli delle mogli. Sempre il Guardian riporta la testimonianza di Uma, bloccata per strada da alcuni uomini che le hanno tagliato e rubato i capelli. E a quanto pare non è la sola.
Refinery29 riporta invece la storia della vietnamita Nguyen Thi Thuy, che negli ultimi anni è stata presa di mira dai commercianti di capelli: offrono di solito fino a un massimo di 70mila dong, che corrispondono a 3 dollari e che vengono accettati da donne che in effetti sono in condizioni di povertà tali da non avere praticamente scelta. Alla fine Thuy ha deciso di vendere a un compratore che ha offerto circa 100 dollari per avere i suoi capelli. Quei soldi sono l’equivalente di un salario mensile dell’intera sua famiglia. Ma non tutte sono in condizioni di scegliere come ha fatto lei.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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