"La mia prima volta in bikini dopo 20 anni a dirmi che sono troppo grassa"
E allora eccomi qui, a scattarmi una foto che non farò vedere ad altri, ma che finalmente riesco a guardare io stessa, a dirmi che è tempo di imparare a voler bene a queste mie curve e a dire a quella ragazzina che era bella, che andava bene così, che è diventata una bella donna e di non nascondersi più.
Era l’agosto del 1999. A darmene la certezza è la scritta in inchiostro nero sul retro della foto, stampata da una macchina usa e getta come usava allora. È sovraesposta e mossa, perché sebbene la mia amica avesse cercato di cogliermi di sorpresa, all’ultimo io avevo tentato di coprirmi con il telo mare, decisa a non lasciarmi immortalare da nessuno in bikini.
Avevo 17 anni e quella fu la prima vacanza al mare con le amiche. Le radio della riviera romagnola rimandavano un Alex Britti che urlava “Mi Piaci” a una pazza che gli stava rovinando la vita e, mentre Ricky Martin muoveva il bacino al ritmo di Livin’ La Vida Loca, Ligabue, Jovanotti e Piero Pelù si erano dati all’impegno pacifista con Il Mio Nome è Mai Più.
Mi piacevano questi tormentoni, ma più di tutti quell’estate mi girava in testa quel motivo che faceva “Sei troppo bella, troppo bella, troppo bella, troppo bella, da desiderare. Sei troppo bella, troppo bella, troppo bella, troppo bella e io ti ho scritto una canzone. Sei troppo bella, troppo bella, troppo bella, sì, da televisione”. E mi sentivo troppo brutta, in un corpo troppo massiccio e di certo non desiderabile, almeno non dal ragazzo bellissimo con i capelli lunghi della 5F, che a settembre non avrei più rivisto.
Giugno 2019. 20 anni dopo. È la prima volta, da allora, che indosso un bikini e mi scatto una foto, che terrò per me, perché non sono una da selfie neppure vestita, figuriamoci in costume. Ma questo è un momento di cui voglio conservare un ricordo.
Non avevo preventivato di fare questa scelta, né avevo intenzione di farne una questione di empowerment o di girl power. I miei costumi interi sono quasi nuovi e non avevo in previsione acquisti. È accaduto tutto nel modo più naturale possibile. Semplicemente nei giorni scorsi ho accompagnato L. – che per intenderci è la versione dell’amica super gnocca che tutte noi abbiamo, per la quale sembra che il tempo funzioni al contrario – a prendersi un costume nuovo da Yamamay.
La versione basic di costume per L. è la stampa animalier, con chiappa il più possibile a vista. Cosa che io approvo, visto che la resa su di lei è pressoché identica a questa della modella nella foto. Quest’anno, poi, la mia folle amica ha trovato pane per i suoi denti, optando per un meraviglioso costume brassiere incrociato, con il quale io mi sentirei a mio agio come un cotechino legato, abbinato a una brasiliana turchese.
È stato mentre lei provava i suoi costumi che, guardando questi slip a vita alta dal mood un po’ vintage come piace a me, si è insinuato il pensiero che forse avrei potuto osare qualcosa di più.
Perché io non porti il bikini da allora è qualcosa che faccio fatica a spiegare. Ha a che fare con il non sentirmi a mio agio con il mio corpo, nonostante io sappia che non ci sia nulla che non funziona in esso. Non è un corpo sovrappeso, ma neppure un corpo magro. Non è, di sicuro, un corpo tonico, anche se probabilmente io lo guardo con più disapprovazione di quella che meriterebbe.
In particolare non sopporto l’idea di avere quei risvoltini sulla pancia che si vanno a sovrapporre allo slip quando ti siedi. Diciamo che per me mettersi in bikini equivale a mettere un’insegna luminosa su quella zona del mio corpo con cui, più di tutte, faccio fatica a fare pace: il mio addome o, per dirla con più onestà, la mia pancetta, cui il parto non ha di certo giovato, ma che già prima non era da addominale con tartaruga, nonostante il tempo che in un certo periodo della mia vita ho trascorso in palestra.
E poi il fianco troppo largo, il seno troppo grosso… Non mettevo un bikini da 20 anni perché ero sempre troppo qualcosa – grassa, molle, abbondante – o troppo poco altro – tonica, in forma, magra -.
L. deve aver capito quel pensiero che mi è passato per la testa, visto che quando è uscita dal camerino mi ha detto: “Staresti benissimo”.
E poi, vedendo che tentennavo: “Guarda, la vita è alta e ti contiene comunque i fianchi: è come avere uno dei tuoi costumi interi, solo mostrando un pezzo di pelle in più sotto il seno. Fidati, è perfetto”.
Ed eccomi qua, con il mio bikini e a chiedermi se magari la prossima volta non valga la pena concedermi qualcosa di più. Non so come sia successo, ma è successo: forse diventare grandi è anche questo.
E allora eccomi qui, a scattarmi una foto che non farò vedere ad altri, ma che finalmente riesco a guardare io stessa, a dirmi che è tempo di imparare a voler bene a queste mie curve e a dire a quella ragazzina che era bella, che andava bene così, che è diventata una bella donna e di non nascondersi più.
Yamamay nasce dalla passione di una famiglia italiana che, negli anni, guidata dalla bellezza femminile e dall’eccellenza dello stile italiano ha sviluppato collezioni intimo e moda mare ricercate e di tendenza.
Da quando sono diventata mamma sono convinta che le donne abbiano i super poteri.
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