Gli stereotipi sulla bellezza non riguardano solo le donne che ogni giorno devono combattere con standard irreali pensati per farle sentire costantemente inadeguate, ma anche le professioniste che di questo settore hanno fatto un lavoro. Nei confronti delle estetiste, delle consulenti beauty e delle make up artist, infatti, c’è un diffuso pregiudizio che le vorrebbe tutte ragazze giovani e carine, non particolarmente brillanti, che si limitano a fare la cera e a vendere qualche cremina alle clienti più affezionate (di cui, in fondo, sono anche un po’ psicologhe, no?).

La realtà, però, come spesso accade è molto più complessa e variegata, eppure quello dell’estetica è un mercato dove gli stereotipi di genere continuano ad abbondare e le estetiste non sempre ottengono il rispetto che meritano. Come ha spiegato Emily Trampetti, skin coach e fondatrice e CEO di Skin Property a Whenwomeninspire,

Mi sembra che l’industria dell’estetica sia ancora piuttosto fraintesa. In effetti, ci sono molte persone là fuori che non sanno nemmeno cosa sia o cosa faccia un estetista.

Alcune persone sentono la parola e la scambiano per anestesista, o alcune persone pensano che faccia le unghie o semplicemente depili il pube. In realtà, la professione è ancora abbastanza nuova e generalmente indefinita. Ciò, ovviamente, è dovuto anche al panorama in continua evoluzione e alle pressioni di commissioni mediche e dermatologi che si assicurano che non oltrepasseremo i nostri limiti e che ogni stato decide cosa possiamo e non possiamo fare in termini di trattamento.

Inoltre, ci sono così tante opzioni che possiamo creare nicchie anche per noi stessi. Questo perché una licenza di estetica copre solo le basi: ciò che ne fai dopo attraverso varie certificazioni e formazione continua è ciò che rende la tua vera professione.

Quello di Trampetti è un caso statunitense, ma per trovare estetiste o esperte del settore beauty che – oltre ad essere sì, ragazze carine – sono ormai imprenditrici di successo alla testa di piccole e grandi aziende non bisogna andare così lontano.

Anche nel nostro paese, che certo non spicca per il numero di donne imprenditrici o in posizioni di leadership, non mancano gli esempi: dall’Estetista Cinica, al secolo Cristina Fogazzi, che dal centro estetico BellaVera con le sue creme e fanghi VeraLab ha conquistato i cuori delle “fagiane” che la seguono e vale ormai oltre 60 milioni di euro, a ClioMakeUp, nome d’arte di Clio Zamatteo che dai videotutorial su YouTube ha creato un vero e proprio impero di bellezza da oltre 10 milioni di euro, che conta un – visitatissimo – sito web, il canale, programmi tv e una linea di make-up in vendita online e nei pop-up store. Ma anche Mulac, il brand cosmetico creato dalla beauty influencer La Cindina già nel 2014 il cui fatturato lo scorso anno ha superato il milione e mezzo di euro.

Se pensiamo allo stereotipo dell’estetista giovane, carina e un po’ ingenuotta, potrebbe sembrare ironico che, in realtà, una delle prime estetiste a scalare il business dei cosmetici sia stata Wanna Marchi, di cui un criticato documentario su Netflix ripercorre la controversa carriera fino alle vicende giudiziarie e alla condanna, e che prima di dedicarsi alle truffe di impronta mistica ha venduto letteralmente quintali di creme, fanghi, impacchi, dichiarando guerra al lardo con l’indimenticato “scioglipancia”.

Stiamo quindi dicendo che tutte le estetiste debbano trasformarsi in imprenditrici da milioni di euro per avere validazione professionale? È banale dirlo, ma no. Quello su cui dovremmo riflettere è piuttosto il permanere di una perenne infantilizzazione dei lavori considerati “frivoli” e femminili, verso cui si tende sempre a guardare con un occhio paternalista che distorce la realtà piegandola a quello che vorremmo che fosse, invece che quello che è: un panorama variegato di professioniste (e professionisti, seppure in misura sensibilmente minore) che, in modi e forme diversi, oltre che con risultati diversi, lavorano nel business della bellezza. E che non sono solo dei bei faccini.

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